Agesci - Comitato Regionale Toscano VERSO NUOVE FRONTIERE atti del progetto regionale 1992/95 cm. 17 x 24,5 pagine 147 |
Lele Rossi
Mi è stato chiesto di riflettere su alcuni aspetti problematici della proposta scout (ma
forse sarebbe meglio dire dello stile scout) nel momento attuale: vorrei offrirveli come
punti appena accennati, per suscitare ulteriori riflessioni e per ricercare insieme
soluzioni.
1.Una domanda ricorrente, nello scoutismo che l'Agesci è venuta proponendo in
questi ultimi anni, riguarda proprio il "tipo" di scoutismo, e quindi di
"prodotto finito" che essa mira a realizzare.
Due sono i modelli cui si è soliti fare riferimento: un modello di tipo anglosassone,
tendente a proporre uno scoutismo "per tutti", in cui tutti si possono ritrovare
e che da tutti possa essere condiviso, finalizzato non a formare personalità particolari,
quanto piuttosto a permettere a ciascuno di fare qualche passo, piccolo o grande, nella
propria formazione di persona. Potremmo dire, usando un'espressione un può cattiva ma
efficace, uno scoutismo da "scuola d'obbligo", che mi pare renda bene l'idea.
Sull'altro versante, sta invece il modello che comunemente viene riferito all'esperienza
franco-belga (il cui riferimento ideale è infatti Forestier, ma di cui potremmo vedere
tracce assai importanti anche nell'attuale testimonianza di Michel Menu), tendente alla
formazione di personalità forti, significative, in grado di inserirsi nella società in
modo attivo e propositivo: dei leaders insomma, capaci con la propria testimonianza di far
lievitare il contesto in cui si inseriscono. Ciò presuppone, com'è evidente, uno
scoutismo di tipo selettivo, aperto a tutti ma operante delle forti selezioni, nella
convinzione che questo sia il vero apporto che è richiesto allo scoutismo.
Evidentemente, inserirsi in uno o nell'altro di tali modelli implica delle scelte assai
diverse, a partire dal contesto in cui operare, al tipo di formazione dei capi, alle
modalità in cui vivere la proposta metodologica e così via. La mia impressione è che,
nell'attuale vita della nostra Associazione, queste due anime in qualche modo convivano
(ma con distinzioni da Gruppo a Gruppo e da città a città), sebbene a me pare che la
tendenza vada ormai nel senso dello scoutismo del primo tipo. Nella nostra regione è
così?
2. Da una recente indagine sociologica che abbiamo svolto nella Diocesi cui
appartengo (quella di Livorno), è emersa con chiarissima (e drammatica) evidenza la
tendenza dei giovani ad essere "fotocopia" di altri (ed in particolare dei
genitori), sulla base di una sostanziale e generalizzata accettazione dei modelli e degli
stili di comportamento proposti. Se così è, non mi pare che di tutto questo siano
imputabili molte colpe alla famiglia (da che mondo è mondo i genitori cercano chi
più chi meno -di formare i propri fig!i omogeneamente a se stessi), quanto piuttosto alle
agenzie educative esterne, che in questo dovrebbero rappresentare un'alternativa positiva
(o meglio, un'integrazione positiva) alla proposta familiare. La mia impressione è che
tali agenzie educative siano invece oggi impegnate a ricercare consenso nei giovani,
garantendo loro ulteriori spazi di sicurezza, anzichè provocarli a risposte e scelte
alternative. Se è vero che i giovani oggi appaiono "sazi" di ciò che hanno,
compito degli educatori non è quello di aumentare il livello di sazietà (aggiungendo
cosa a cosa), bensì quello di provocare la fame, perchè attraverso di essa emerga
l'esigenza di risposte più soddisfacenti e più appaganti (si rilegga, sotto questa
visuale, il passo di Luca: "Beati voi che ora avete fame, perchè sarete saziati.
Guai a voi che ora siete sazi, perchè avrete fame.")
Tra le agenzie educative, lo scoutismo si è sempre in qualche modo vantato di essere
espressione "di frontiera": adesso pertanto dovrebbero richiedersi proposte
significative in questa direzione. La mia impressione è che anche in questo campo,
invece, anche noi abbiamo teso all'omogeneizzazione, alla ricerca del consenso, misurando
la nostra forza con il peso dei numeri degli associati o delle unità: abbiamo così
realizzato uno scoutismo sì di massa ma perfettamente integrato, in nulla alternativo
rispetto ai modelli sociali ed ecclesiali che vediamo e riconosciamo prevalenti.
3. E' chiaro che tutto ciò ha immediate conseguenze sulla proposta educativa scout
complessivamente considerata, e quindi anche sul modo con cui il metodo viene utilizzato.
Secondo l'idea di B.P. lo scouting aveva valore in quanto abituava la persona ad
affrontare il sacrificio: per questo la vita all'aperto era centrale nella sua proposta, e
per questo essa andava vissuta in modo pieno, forte, integrale (non quindi per formare
"Rambo" capaci di vivere avventure esaltanti e poi tornare appagati e quindi
perfettamente integrati).
Viceversa, vivere lo scouting in modo annacquato (perchè altrimenti i ragazzi non
vengono, perchè non tutti sono adatti, perchè i capi non ne hanno le capacità, etc...)
porta ad annacquare tutta l'intera proposta, e di conseguenza a far perdere allo scoutismo
la capacità di formare persone significative, forti, capaci di remare controcorrente
quando ce n'è bisogno, e anche quando la corrente è forte. Nello stesso tempo, perchè
lo scoutismo aiuti a formare uomini e donne che con la Partenza entrano significativamente
nella società, occorre che la proposta che noi facciamo aiuti la persona in quella vita
già durante l'iter formativo, non in modo edulcorato bensì in modo vivo, reale. In
questo senso, lo scoutismo è sì "parabola della vita": ma occorre che quella
parabola sia in primo luogo effettivamente comprensibile (per ciò che essa significa), e
in secondo luogo si eviti il rischio di innamorarsi della parabola (e cioè del metodo)
perdendo di vista l'obiettivo reale per cui questa parabola è stata creata.
Non so se queste considerazioni possano aiutare l'ulteriore sviluppo della riflessione:
quel che mi auguro, è che possano contribuire a fare dello scoutismo della nostra
regione, da sempre particolarmente attento alla qualità, un punto di riferimento per la
società e la Chiesa che guardano avanti.
Lele Rossi