Dimissioni Papa: dagli scout di Trigoria alle suore del Burkina Faso, tutti in piazza per il penultimo Angelus di Benedetto XVI
“Un capitano, c’è solo un capitano, un capitaaanooo, c’è solo un capitaaaanoooo”. Urlano a squarciagola gli scout di Trigoria, abituati a ben altri canti. Questa, però, è una domenica particolare, e non solo perché la Roma sabato ha battuto la Juventus. Questo è il penultimo Angelus di Benedetto XVI, uno degli ultimi appuntamenti del Papa che tra dieci giorni non sarà più Papa – e come lo si dovrà chiamare ancora non si sa.
Il capo scout si chiama Salvatore Teresi, è un ragazzo con gli occhiali e il sorriso gentile. “Cori a parte, sono stati i ragazzi a chiederci di venire all’Angelus oggi. Ci tenevano a essere presenti, a salutare in prima persona il Santo Padre. Sono rimasti molto colpiti dalle sue dimissioni. Forse sentono il bisogno di dimostrargli il loro affetto e la loro gratitudine, un po’ come si fa con un nonno che non ha più la forza di farci da guida”.
Alle 11 lo spazio abbracciato dal colonnato è già strapieno. “Domenica eravamo quattro gatti… guardi qui che spettacolo di piazza”, commenta Don Giacomo Martinelli della comunità Casa di Maria. Anche lui racconta di come i ragazzini della comunità abbiano compreso e ammirato il gesto forse ancor prima degli adulti. “Benedetto XVI ci ha ricordato che il Papa è il vicario di Cristo: l’importante è che vada avanti il messaggio di Cristo, anche se questo richiede un passo indietro da parte del Pontefice. Ha presente quando Giovanni Battista disse ‘Bisogna che egli cresca e che io diminuisca’ in riferimento a Gesù? Ecco, rinunciando al ministero petrino, Papa Ratzinger ha fatto esattamente questo: ha diminuito se stesso per far andare avanti la parola di Cristo. E’ un concetto di una purezza incredibile”.
La piazza è una sinfonia di accenti. Una famigliola del Veneto inganna l’attesa chiacchierando con due mamme beneventane e poco lontano dei ragazzi baresi fanno assaggiare un po’ di focaccia a due turiste francesi. In molti parlano inglese, spagnolo, tedesco; tutti hanno una macchina fotografica o un telefonino per condividere in rete almeno un’immagine di questa San Pietro.
Lauren e Kathy sono due amiche scozzesi in vacanza in Italia, ma guai a insinuare che siano qui per caso o per semplice curiosità. “Abbiamo sentito il dovere di esserci. Siamo in piazza dalle 9 di questa mattina: è un momento storico, per noi è un’emozione grandissima essere qui”.
Qualche metro più in là, tra un gruppo di signore impellicciate e una comitiva di sportivi, ci sono le suore del Burkina Faso, con i loro abiti bianchi e le sciarpe giallo canarino. Vincono la timidezza solo per esprimere la loro “profonda gratitudine” nei confronti del Santo Padre, definito “un esempio di umiltà”. “All’inizio sono rimasta sorpresa”, racconta una di loro. “Anche se ci sono state altre rinunce in passato, non avevo mai pensato a questa ipotesi. Poi ho capito che si è trattato di un gesto di grande umiltà e di coraggio. Lo ha fatto per il bene della Chiesa, a volte qualcuno se lo dimentica ma la Chiesa è una cosa seria, richiede un’enorme responsabilità”.
Suor Maria, che viene dal Messico e avrà poco più di vent’anni, si dice serena: “Il Papa ha preso la sua decisione dopo molti mesi di riflessioni e preghiere. Per questo siamo sicure che lo abbia fatto per il bene della Chiesa”. A Padre Noel, messicano anche lui, brillano gli occhi mentre aspetta che la tenda si scosti. “Ciò che mi ha colpito di più è stata l’umiltà di quest’uomo. Ha saputo tirarsi indietro e rinunciare al suo potere. Il suo gesto ci costringe a interrogarci tutti”.
A mezzogiorno il cielo è limpidissimo. Giusto il tempo dell’Angelus, per poi velarsi e tornare incerto come al mattino. Il Papa si affaccia alla finestra e decine di migliaia di mani battono all’unisono il loro sostegno. Qualcuno grida “Viva il Papaaaaa”. Lui aspetta qualche secondo – l’applauso è troppo forte per essere interrotto – poi dice, scandendo bene ogni parola: “Grazie, grazie a tutti voi”. Qualcuno piange e si soffia il naso sotto questo sole di febbraio che improvvisamente fa togliere la giacca.
Fra Alessandro, francescano, questo problema non ce l’ha. I suoi piedi quasi cianotici spuntano dai sandali e si mescolano a tacchi e scarpe da tennis. Mentre parla il Papa, i suoi occhi sorridono. Riflettono la luce e il bianco di San Pietro. Poi, finito l’ultimo applauso, smette di tormentarsi la barba e dice, sempre sorridendo: “Il messaggio che ci lascia questo Papa è di una profondità immensa. E’ l’uomo che si mette da parte per realizzare un progetto più grande. Il suo è un atto di rinuncia e d’amore allo stesso tempo, è la negazione di sé per il bene degli altri”. L’Angelus è finito, tutti corrono verso il pranzo della domenica o qualcosa che gli somigli. Lui rimane ancora un po’ al centro della piazza. “Vorrei assorbire almeno un frammento di questa storia, come fossi una colonna del Bernini”.