cammy
Età: 37 Segno zodiacale: Registrato: 05/05/05 09:56 Messaggi: 350 Residenza: Busto arsizio
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Inviato: Venerdì 27 Gennaio 2006, 14:41 Oggetto: I giusti dimenticati |
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Milano
Don Bussa celò
i ragazzi in oratorio
Un prete ambrosiano di trincea. Che comincia ad essere conosciuto anche grazie a ad un sito tutto dedicato alla sua memoria. Don Eugenio Bussa non è solo l’indimenticabile sacerdote dell’Isola Garibaldi di Milano, per mezzo secolo al servizio dell’educazione di migliaia di ragazzi e di giovani – almeno due generazioni passate attraverso l’oratorio Patronato sant’Antonio – , ma anche un Giusto. Durante la Seconda guerra mondiale si è prodigato per salvare parecchi ragazzi ebrei, sottraendoli ai rastrellamenti nazisti.
Di lui il cardinale Carlo Maria Martini ha scritto: «Quando uomini così grandi ci passano accanto non possiamo più vivere come se ciò non fosse accaduto: essi sono un dono e un richiamo all’imitazione e al dono di noi stessi per il bene dei fratelli». Prete e uomo dalla carità praticata con discrezione e riservatezza, votato al conforto e all’aiuto spirituale e materiale, ha rischiato più volte la vita nascondendo nei suoi ambienti piccoli ebrei inseguiti dalle feroci persecuzioni razziali.
Torino
Per Angela furono
«pazzi» da ricovero
Vercellese, padre del giornalista Piero, medico dalle foreste del Congo a Parigi, nel primo dopoguerra si occupa di politica, passando da Democrazia sociale ai socialisti riformisti. Accusatore del fascismo, finisce confinato per quasi vent’anni – dopo il delitto Matteotti, per il quale accusa Mussolini – a San Maurizio Canavese, in una casa di cura per malati di mente quale direttore sanitario. Qui offre soccorso alle vittime della persecuzione razziale e agli oppositori politici falsificando le cartelle cliniche. Il suo metodo? Trasformare ebrei in ariani, sani in pazzi. Ad aiutarlo ci sono fidatissimi collaboratori: il suo vice Giuseppe Brun, suor Tecla, gli infermieri Fiore Destefanis e Carlo e Sante Simionato. Tra i salvati di Angela ci sono i coniugi Nella e Renzo Segre, che sfuggono alla deportazione restando segregati in clinica per un anno e mezzo e fingendosi malati di mente, o la moglie e la figlia dell’avvocato Massimo Ottolenghi, nascoste nel reparto femminile. Spiato, catturato in una rappresaglia fascista che provoca vittime innocenti, all’ultimo momento scampa alla fucilazione grazie al conte di Robilant intervenuto presso il federale di Torino, Giuseppe Solaro. Dopo la Liberazione ha continuato a fare il medico. È mancato nel 1949 a settantaquattro anni; solo nel 2002 è entrato tra i Giusti delle Nazioni.
Firenze
Il valdese Vinay li accolse in casa
Notissimo pastore valdese, morto nel 1996 a ottantasette anni, fondatore della sezione italiana del Movimento internazionale della riconciliazione, animatore di varie esperienze di pace e di solidarietà – da Agape a Riesi –, parlamentare (senatore indipendente nelle liste del Partito comunista italiano dal 1976 al 1983, amico della nonviolenza, ma anche Giusto delle nazioni per aver salvato vite dalla Shoah. Lui è Tullio Vinay e a Firenze, dove vive durante la Seconda guerra mondiale, è colpito da molte denunce perché svolge «opera di disfattismo nei confronti della guerra». Il coraggio di questo convinto pacifista contempla anche il rischio della vita per nascondere alcuni ebrei. In casa sua, dove ci sono la moglie Fernanda e due bimbi piccoli. Gli ha dedicato un essenziale profilo Giuseppe Marasso nel libro a più voci Le periferie della memoria, edito pochi anni fa dal Movimento nonviolento.
Roma
In convento con suor Fernanda
Il loro convento – nella Roma occupata – è ad un passo dalla sede del Comando delle Ss. E non di rado i nazisti entrano nel loro istituto per usarne la grande cucina. Sono le suore di san Giuseppe di Chambéry. E come quelle di altre congregazioni religiose femminili – un buon centinaio – aprono le porte agli ebrei che devono nascondersi. Sono uno dei nodi della rete di assistenza organizzata dalla Chiesa. Secondo il numero dei rifugiati tutti gli ambienti dell’edificio possono trasformarsi in stanze e camere dove resistere. Bambini e bambine vengono fatti passare per alunni delle scuole dell’istituto, e se arrivano i tedeschi le mamme diventano consorelle con tanto di abito religioso, o tutt’al più si mettono a zappare in silenzio nell’orto. Per la testimonianza e il ruolo svolto da queste religiose a favore degli ebrei perseguitati suor Fernanda (all’anagrafe civile Maria Corsetti) ha ricevuto il titolo di Giusto fra le nazioni, il 17 marzo 1998. Padre Gumpel, in una intervista ad Antonio Gaspari, ha parlato tempo fa di una lettera inviata da Pio XII alla sua madre superiora in cui si parla degli ebrei: come «figli diletti».
Bellaria
Nell’albergo di Giorgetti
Trentotto ebrei jugoslavi in fuga dai tedeschi, dopo l’8 settembre 1943, e... un albergatore. Lui è Ezio Giorgetti, e per loro trova posto nel suo edificio: il Savoia, a Bellaria. Un’ospitalità che diventa solidarietà pura e con qualcuno – come Josef Conforti – vera amicizia. Sarà soprattutto quest’ultimo a rendere la preziosa testimonianza per il titolo di Giusto. Con dettagli che dilatano l’orizzonte della salvezza. Che indicano la cooperazione del maresciallo dei carabinieri Osman Carugno e del commerciante Giuseppe Rubino. Con loro vanno ricordati tanti anonimi contadini, quelli del paese di Pugliano Vecchio, nell’entroterra. Quando nel 1944 a Bellaria la situazione diventa troppo pericolosa, il piccolo paese sull’Appennino diventa tutto un rifugio. Ogni abitazione quassù libera una stanza e la pulisce, mettendola a disposizione dei fuggiaschi. In una casa si ricava una cucina e lì si condivide quel che passano l’orto, il pollaio, la stalla. Al centro del paese vien fatta una buca profonda. Quando questo "servizio igienico" si riempie, il tutto si usa come concime. Durante la ritirata anche Pugliano Vecchio viene occupato dalla Wehrmacht, ma i tedeschi hanno fretta e la notte del 21 settembre 1944 lasciano subito il paese. Il gruppo è salvo e pronto a partire per la Palestina.
Tr eviso
In 234 salvati da don Pasin
Trevigiano, don Ferdinando Pasin chiude la sua vita in quella stessa chiesa – San Martino – dove, dopo esperienze a Noventa come cappellano e a Musile come vicario, vive a lungo, diventando un simbolo del servizio totale alla causa dei più deboli. Si consuma emblematicamente nella sua San Martino, già ridotta a povero cumulo di polvere e macerie nel tragico Venerdì santo del 7 aprile 1944 . Già accanto al suo vescovo, monsignor Longhin, e con lui a fianco dei profughi che cercano riparo dalle sponde di quel Piave che la Grande guerra ha insanguinato, non è titubante nello schierarsi con i perseguitati dalla dittatura fascista durante il secondo conflitto mondiale. Avvocato dei deboli, segretario dell’Unione cattolica del Lavoro, difende le prime conquiste sindacali e politiche, lotta insieme ai partigiani, accanto ai nuclei resistenti sorti all’ombra dei campanili mentre prende corpo la prima direzione regionale del Movimento di liberazione. La sua assistenza agli ebrei ha come cornice la resistenza trevigiana. Chi li ha contati, preparando le relazioni che hanno portato al conferimento per lui di Giusto, indica il numero di duecentotrentaquattro ebrei. Grazie a lui non conobbero il lager.
Cotignola
Un paese di eroi
Ha ragione, Gregorio Caravita, a scrivere nel suo Ebrei in Romagna 1938-1945 ( Longo Editore) che il comune di Cotignola merita un ricordo particolare, caso raro, in Italia, dove tutta la struttura amministrativa si presta alla salvezza organizzata degli ebrei (nonché dei partigiani e dei perseguitati politici). Un coraggio ancor più vero perché Cotignola per cinque mesi è sulla linea del fronte prima della battaglia finale dell’aprile 1945, dunque sotto intensi controlli. Regista e artefice del coordinamento è il commissario prefettizio Vittorio Zanzi; con lui collaborano istituti e famiglie (come i Dalla Valle, Vincenzo Tambini, Luigi Varoli…). Si tratta – come sempre – di trovare nascondigli e cibo, ma anche di preparare documenti falsi. Destinatari una quarantina di israeliti. Il giorno in cui Cotignola viene liberata la distruzione appare totale. Quest’angolo di Romagna è del tutto sconvolto, case saccheggiate e provviste distrutte, scompiglio e rovina. Ma gli ebrei sono salvi. E con loro i salvatori. Oggi onorati nella Foresta dei Giusti.
Roma
Caronia li spacciò per moribondi
E' morto nel 1977 e undici anni dopo gli è stato tributato il riconoscimento Giusto fra le Nazioni. Di professione medico e docente in Pediatria, Giuseppa Caronia per il suo antifascismo viene costretto a lasciare l’insegnamento all’università di Roma. Entra comunque in servizio al policlinico Umberto I dove, nel corso del 1944, ospita a suo rischio diversi perseguitati, sia politici che razziali. Il suo stratagemma più usato è quello di mentire sul reale stato di salute dei suoi degenti. Le carte mediche che falsifica per i ricoverati nella sua clinica non lasciano spazio a speranze. Le diagnosi indicano malattie gravissime, tali da sconsigliare verifiche. Se poi qualcuno, come accade, non ha proprio un brutto aspetto, ecco un camice pronto a trasformarlo in medico, infermiere o – se la cosa non funziona – almeno in barelliere. L’elenco dei pazienti – una novantina, compresi quelli veri – copre una quarantina di ebrei. Che evitano la deportazione. Per lui, nell’immediato dopoguerra, c’è subito una cattedra universitaria, poi fu deputato alla Costituente e parlamentare per due legislature.
Tagliacozzo
Per Tantalo furono «parrocchiani»
A Tagliacozzo, dove fu parroco dal 1936 al 1940, i più anziani lo ricordano ancora e gli hanno dedicato una scuola vicino alla stazione. Per altri è il «prete eroe della Marsica». Non lontano, Magliano de’ Marsi è la cornice di una grande amicizia. Quella con gli Orvieto, una famiglia romana ebrea che si reca lì in villeggiatura. Quando per i tristi eventi bellici gli Orvieto, sfollati da Roma, vengono ricercati, lui non ci pensa un minuto: apre loro casa sua, facendoli sentire a loro agio, presentandoli e difendendoli sempre come «i suoi migliori parrocchiani». Lui è don Gaetano Tantalo, nato a Villavallelonga nel 1905; Nicolino Saralo gli ha dedicato una biografia per le edizioni San Paolo (Un sacerdote amico, umile, eroico). Un prete che conosce anche l’ebraico e le feste dei «fratelli maggiori». Quando devono celebrare la Pasqua ebraica procura loro anche un recipiente adatto per gli "azzimi". Gli Orvieto, finita la guerra, non dimenticano l’amicizia di don Gaetano. E quando don Tantalo ammalato, va a Roma a curarsi, sono gli Orvieto ad ospitarlo. E sono loro, questa volta, a mettere a sua disposizione in casa, un inginocchiatoio e un breviario nuovo. Sul viale dei Giusti anche don Gaetano oggi ha il suo albero.
Balcani
Rotta, un nunzio in prima linea
Milanese, classe 1872, sacerdote a ventitré anni, diplomatico per tutta la vita, Angelo Rotta dagli anni Trenta è nunzio apostolico nell’area balcanica. Come membro del corpo diplomatico vaticano in Bulgaria si prodiga per salvare gli ebrei minacciati in quel Paese, fornendo certificati di transito (e c’è chi aggiunge anche certificati falsi di battesimo) per espatriare nell’allora Palestina britannica. Successivamente, nominato nunzio apostolico a Budapest, non si limita a protestare contro la deportazione degli ebrei – intervenendo presso il governo quando gli antisemiti, sotto il comando di Adolf Eichmann, intraprendono azioni di polizia –, ma distribuisce ben quindicimila "carte" che pongono i possessori sotto la protezione dello Stato vaticano. Così riesce a salvare numerosi ebrei ungheresi , coinvolgendo anche i diplomatici stranieri in Ungheria, compreso Raul Wallenberg, nel creare una grande rete solidale. Centinaia di ebrei sono ospitati nella nunziatura e in case protette che godono dell’extraterritorialità. Angelo Rotta, mancato nel 1965, è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem. Con lu i vanno ricordati altri nunzi accomunati dallo stesso impegno: Angelo Roncalli – il futuro Giovanni XXIII – in Turchia, Giuseppe Burzio in Slovacchia, Andrea Cassulo in Romania. |
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